lunedì 19 novembre 2012

Immagina una piazza


    Oggi vi propongo un libro di Anna Maria Fabiano.



 




Anna è una cara amica,


donna dalle mille risorse, insegna da

tanti anni in un liceo a Cosenza, scrive racconti, fiabe, poesie, 

raccoglie emozioni e le trasmette nei suoi libri con rispetto e

grande amore per l'umanità.


Anna ama anche gli animali e li raccoglie, li cura, dona spesso 

loro una nuova dimora.

Si può dire che il suo amore per gli altri si manifesta proprio 

nella sua disponibilità, nell'accogliere le persone presso di sé, 

esattamente come fa con queste creature.

Vi suggerisco di leggere le recensioni che troverete qui sotto 

per avere un'idea del libro che vi propongo:

La piazza principale di una città ne rappresenta in qualche modo il cuore: pulsa di vita, nel suo essere luogo di incontro, di aggregazione sociale, di movimento. La Piazza con i suoi negozi, le panchine, qualche albero o portico, magari un monumento, e tutti i figuranti che vi si incrociano. Per attimi o tutti i giorni, come in un rito.
Nel gergo di chi usa gli stupefacenti, per piazza si intende
 genericamente la strada, i posti in cui si va a cercare il necessario, il pane quotidiano.
Nel romanzo di Anna Maria Fabiano, la piazza è tutto questo e molto di più. Gli spazi si dilatano, mentre pure il tempo impazzisce e perde dimensioni, e la piazza diviene proscenio sul quale la protagonista, con sincerità disperata, racconta la sua StoriaCalvario. È la voce di una giovane donna, quella che ci tocca il cuore, nel suo parlarci di una vita non scelta, di un’esistenza in cui è caduta senza volerlo e impastata di ribellione necessaria, di fuga dall’ordinario e dal perbenismo imperante. Dell’urgenza, frustrata fin dall’infanzia, di essere accettata e amata per quella che è. Delle contraddizioni esistenziali e dei sensi di colpa che scaturiscono dai suoi comportamenti “devianti”, del sentirsi sempre giudicata. Perché è davanti a consesso immaginario di giudici che si presenta, senza nulla celare dei suoi trascorsi, della fragilità e della forza che le sono stati compagni nel suo andare, sino al verdetto finale. In un crescendo di grande impatto emotivo, in cui delirio e lucidità intrecciano i fili, Anna Maria Fabiano conduce il lettore parlandogli attraverso l’io narrante, con un piglio narrativo diretto e avvincente, con uno stile personalissimo che coniuga sapientemente il linguaggio colloquiale quotidiano ai modi del surrealismo.
Un libro che si legge tutto d’un fiato, prezioso nel ricordarci quanto conti il rispetto per ogni singolo percorso esistenziale, quale che sia. Quanto l’amore e l’assenza di pregiudizio possano cambiarci la vita. E quanto il perdono, sia quello rivolto al prossimo che quello diretto a noi stessi, possa salvarci, alla fine di ogni cosa.

silvia longo













 La protagonista di questo romanzo/confessione è una ragazza sempre dipendente da qualcuno o da qualcosa, che non riesce a trovare l’equilibrio necessario a vivere accettabilmente la propria esistenza.
I personaggi da cui dipende affettivamente, senza però riuscire a instaurare con loro appaganticorrispondenze d’amorosi sensi sono i familiari che non la capiscono, l’Avvocato che la sfrutta senza scrupoli ma in maniera accattivante o Madame, che lei ama di un amore che sente innocente ma che è inopportuno per gli altri.
Tra gli oggetti, invece, che le creano dipendenza, al primo posto c’è la roba, il pane quotidiano da cercare spasmodicamente nel rosario dei giorni finalizzati allo sballo, senza orizzonti altri, nella piazza dove tutto si scambia, dai rapporti devastanti all’oggetto del desiderio.
La protagonista è sensibile, profonda, intelligente e in certi squarci di normalità riesce a raggiungere obiettivi importanti, come la laurea in sociologia; ma poi ricade nel male oscuro, nella malattia dell’anima che la divora, impedendole di sintonizzarsi stabilmente sulle note della vita: la sua è una canzone disperata e stonata che non diventa mai canto armonioso.
In tutta la prima parte del romanzo prevalgono toni surreali, che seguono l’incessante recherche della ragazza; dopo, le pagine si fanno più realistiche, più legate al qui e ora, che diventa prima cronaca e poi memoria. Fino alla conclusione, che, in un cerchio ideale, ritorna, per liricità, al tono dell’esordio.
E’ una prova difficile e complessa quella in cui l’autrice, Anna Maria Fabiano, si è cimentata in questo lavoro: per l’acuta indagine psicologica che ha esercitato sul suo personaggio; per lo spessore umano e intellettuale che gli ha regalato; per la sofferenza fisica e psichica che ha dovuto raccontare; per la scelta di un linguaggio mai retorico, ma aderente al vissuto corporeo e mentale della sua creatura, come un guanto alla mano.
E ha vinto la sfida perché Immagina una piazza è un romanzo che non si dimentica, in quanto questa ragazza, vittima e carnefice di se stessa diventa la quintessenza dei mali del nostro tempo: l’incomunicabilità, l’indifferenza ai percorsi oscuri dell’animo giovanile, l’ipocrisia della società perbenista, il vuoto di valori o l’incapacità di praticarli seriamente.

                                                                                             M.Gisella Catuogno

“Immagina una piazza”, di Anna Maria Fabiano

di Margi De Filpo -
Immagina una piazza”, di Anna Maria FabianoFerrari Editore
Immagina una piazza, le sue voci, le strade che si diramano tutto intorno, le luci, i profumi e il viale alberato. Un cammino accidentato, il percorso della paura che cresce e ingoia l’infanzia. Il terrore di non essere all’altezza degli Altri, e non avere il diritto di essere amata. La piazza nel gergo della strada, dove drogarsi, incontrarsi, dimenticarsi e tornare sempre al punto di partenza. Lo stesso viale alberato, ancora una volta, per poter ammettere che quel profumo, “l’odore di resina e di mare”, tanto disprezzato, “mi piaceva, e non l’ho mai detto”. Una storia di solitudine e volontà, la piazza di una giovanissima che decide di drogarsi per porre un marchio definitivo e indelebile alla sua diversità. Ma ciò che colpisce del romanzo è proprio il fatto che noi assistiamo, nelle pagine intrise di surrealismo alternato ad un linguaggio tanto colloquiale da spiazzare il lettore, alla vera guarigione. L’inferno della disintossicazione, fatto di urla, crisi violente e odio nei confronti di chi non vive nel bisogno. La rabbia che aumenta perché non si è capaci di essere riconoscenti e di mostrarsi deboli. Quando guarire significa arrendersi. La protagonista si svela, pian piano, tanto lucida da non trasferire sugli altri le proprie colpe, e tanto forte da perdonarsi, disposta anche a perdere. Perdere tutto e ricominciare, continuamente. Perché il suo vero male è l’orgoglio. L’orgoglio di essere diversa, per poi accorgersi che, diversi, lo sono tutti. Perdonare, perdonarsi. Ricominciare a vivere solo quando ci si accorge di essere ancora in grado di prendersi cura di chi si è preso cura di noi. Pagine intrise di forza e delicatezza, rabbia e desiderio di recuperare il tempo perso. Uno stile poco curato ma potente che trascina, in poche ore, alla fine di un lungo percorso. Poi, un nuovo inizio, e servono solo due parole per descriverlo: “non piangere”.











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